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Catania, la mentalità è l'equilibrio tra competitività e giudizio

Scritto da Marco Massimino Cocuzza  | 

Se è vero che le lezioni più importanti arrivano dalle sconfitte, allora verrebbe da credere come il Catania abbia avuto ben poco da “imparare”, in un campionato che l’ha visto perdere punti solo cinque volte: il bambinesco “sbagliando si impara”, nel naturale processo di crescita presente in ogni cosa. E’ servita, ragionando a posteriori, non la lezione quanto la consapevolezza acquisita nell’uscita dalla Coppa ad inizio stagione, determinante nel tracciare la strada di mattonelle in mezzo alle sterpaglie e i rovi della D. Giovanni Ferraro stesso l’ha ribadito più volte.

Il pareggio di ieri può trasmettere una relativa rabbia, ad un ambiente già affacciato alla finestra del professionismo da quasi un mese, ma può anche rappresentare un piccolo banco di prova sul piano mentale: sì, per la poule scudetto, e soprattutto per il futuro. Perché in Serie C la sensazione è che potrebbe capitare ancora di trovarsi di fronte un avversario manifestamente più debole ma capace di strappare punti; insomma, la costruzione di una mentalità passa soprattutto dal preparare e giocare ogni partita con concentrazione massima, per poi rapportarsi tutti con il piglio giusto quando i risultati non sono totalmente soddisfacenti. Nel trovare l’equilibrio sul filo che divide la competitività dal giudizio.

E’ sfumato il record delle vittorie consecutive, di quelle in casa, e non si è riusciti a battere una squadra in tre sfide su tre; zero drammi e desiderio da parte di tutti di aggiungere nel proprio bagaglio ciò che servirà prima o poi, è ancora una volta la strada da seguire.
Crescere come ambiente poco alla volta ma in maniera costante, seguendo il passo di società nata da poco, ma già chiara nel non veder di buon occhio le caciare fini a sé stesse in campo, a prescindere dalla categoria: le isterie finali hanno poco a che vedere con il contesto desiderato dal club, Grella in primis. Migliorare e migliorarsi ancora, magari anche evitando di sottolineare il genere, nella valutazione di una terna arbitrale.