Focus con Rosario Pelligra, l'intervista al presidente del Catania

Purché si firmi

Qualcuno avrebbe esclamato, con abbastanza fantasia per contestualizzare, che “il fine giustifica i mezzi”: può anche darsi. Il lavoro svolto da entrambe le parti è indubbio almeno quanto importante: negarlo sarebbe stupido. Cercare “pietre nella lenticchia” altrettanto: e per questo nessuno può permettersi di farlo. A questo punto della trattativa tra Tacopina e la SIGI per la cessione del Catania può venire in mente qualsiasi cosa: una sola deve essere chiara. “Purché si firmi”. Possiamo dire che delle date non ce ne frega nulla? Ovvio, basterebbe non tirarle in ballo con estrema certezza: perché alla fine, diciamocelo, cosa sono le date in una situazione del genere se non meri ghirigori volti ad arricchire esteticamente un quadro che di questi può anche fare a meno? Non siamo stati noi a farle: non noi stampa, né noi piazza. I protagonisti sì: ed è per questo che “non bruciare le tappe” è consentito, figuriamoci, a patto che non parta la solita caccia alle streghe verso chi poi viene puntualmente additato come colpevole di “mettere pressione”. Nessuna pressione, ma bene ha detto l’avvocato Giovanni Ferraù pochi giorni fa, all’uscita da Torre del Grifo: il Catania, riprendendo le parole del presidente del Tribunale, è “vicenda di particolare interesse sociale”. Ed è per questo motivo che se non si firma giorno 9 gennaio, oggi, non importa: così come non importava l’8 dicembre, il 12, il 24, il 27. E così in futuro: arriverà giorno 16? Può darsi, perché no: speriamo. Perché poi l’importante è che si faccia, questa cosa. Che si torni a pensare solo al campo, dopo un anno di telenovele e filastrocche, che si torni a sognare: che i creditori istituzionali diano le risposte che SIGI e Tacopina aspettano. Senza date, né ulteriori aspettative: lo ha affermato anche l’avvocato Giuseppe Augello, sempre con i piedi per terra. Per lui alla fine il Catania sarà americano. Il resto non importa: “purché si firmi”, ecco.