Focus con Rosario Pelligra, l'intervista al presidente del Catania

Editoriale: the end

Andata e ritorno sulla stessa falsariga, Trapani più tecnico, più squadra, più bravo, ma più spaventato; Catania disperatamente in partita e capace di risorgere, ma alla fine non è bastato. A Trapani, come mercoledì scorso, i rossazzurri ci hanno provato con i nervi, anche se in ritardo, ci hanno provato con la disperazione di chi sa che che la fine è vicina, ma la domanda è: perché arrivare sempre ad un passo dal baratro? Di certo un dato è evidente: il Catania è stato eliminato a causa del risultato ottenuto durante tutta la stagione che non è stato soppiantato dai play off. Il fallimento determinato dal quarto posto è stato fatale consentendo alla squadra di Italiano di passare con un doppio pareggio, punto e basta. Episodi e idee tattiche più chiare hanno detto Trapani, ma rimane l'amarezza. Stavolta tutto è girato nel verso di un squadra che probabilmente ha meritato il passaggio del turno e ha dimostrato che la programmazione e la creazione di un percorso coerente nel corso del campionato, alla fine, valgono di più dell'estemporaneità. Ma proprio stavolta, più di altre gli episodi hanno fatto la differenza a partire dal tiro di Tagourdeau su punizione decisamente generosa (e parabile), arrivando alle espulsioni. Tatticamente le sorprese di Sottil non hanno dato le risposte sperate: Llama dal primo minuto insieme ad Esposito, Manneh e Baraye, con Aya largo a destra ed un 4-3-3 accorto e basato sulla verticalizzazione immediata non appena in possesso della sfera. Un chiaro segnale di coraggio che la formazione etnea non ha totalmente recepito, finalizzato a limitare Tulli grazie alla fisicità di Aya e impensierire Costa Ferreira con la veocità di Manneh, ma che poi in realtà non sempre ha funzionato sugli esterni, ed ha subito il palleggio centrale del Trapani. Poi l'episodio: punizione, gol, e piano partita alterato. Nella ripresa triplo cambio con Marotta, Calapai e Biagianti in campo. Il gesto incommentabile di Esposito, l'espulsione assurda di Biagianti, quella di Calapai, ma alla fine il Catania è stato lì ad un passo dal miracolo. Una squadra che, solo se liberata da pensieri, è riuscita a incutere timore, un timore che invece ha bloccato totalmente gli avversari. Un campionato vissuto così, col freno a mano tirato dal punto di vista mentale, una stagione vissuta con l'amarezza di chi non è mai stata una corazzata, nè come completezza di organico, nè con i fatti. Si chiude dunque l'ennesimo sipario, il quarto in Serie C e ancora una volta non sono gli applausi a caratterizzare la reazione del pubblico. Tanti errori, tante incomprensioni, tante parole spese senza riflettere sulle conseguenze, e tanta frustrazione. La sensazione è che la rosa cambierà nettamente rispetto al passato, ma rimangono dubbi su come verrà gestito l'ennesimo rinnovamento e sulla gestione in generale, perchè alla fine quest'anno è stato un fallimento e la dirigenza non sembra aver trovato mai il bandolo della matassa. Tutti devono porsi degli interrogativi. È vero, come non mai, che abbiamo capito che il calcio è fatto di episodi, di centimetri che cambiano le partite e le stagioni, ma non può bastare come giustificazione, perchè se da un lato ci sono gli episodi della serata del Provinciale, e più in generale degli spareggi, dall'altro c'è un gioco che è sempre stato latitante, una mancanza di identità e continuità, e un nervosismo interno mai sopito. Qualcosa è stato sbagliato lo scorso anno dal punto di vista della gestione mentale, qualcosa è stato sbagliato in questa stagione, non solo sotto il profilo mentale ma anche di gestione dello spogliatoio. Bisogna interrogarsi sul perchè allenatori, giocatori che l'anno precedente strappano applausi, poi arrivati a Catania diventano confusi agnellini irriconoscibili? Attendiamo per capire cosa succederà e quali saranno le prese di posizione in vista del futuro, ma per adesso c'è troppo buio per riflettere serenamente.